
Dopo due anni di campagna di comunicazione, la Società Italiana di Ingegneria Elettronica registra un primo successo: immatricolazioni al +17%. Le nuove leve lavoreranno nei tanti distretti produttivi italiani, ma saranno anche pedine fondamentali per l’autonomia tecnologica europea.
Gli ingegneri elettronici cominciano ad affacciarsi sulla scena universitaria, almeno per iniziare a colmare il gap tra la crescente domanda dell’industria e l’offerta finora scarsa di queste professionalità. Due anni dopo aver iniziato la sua campagna di comunicazione per aumentare le immatricolazioni, la Società Italiana di ingegneria Elettronica (SIE) ha fatto sapere che negli ultimi due anni accademici, nei corsi di laurea di questa disciplina si è iscritto il 17% in più di studenti.
Gli iscritti passano così dai 1.542 dell’anno accademico 2022-2023 ai 1.803 del 2024-2025. Crescono tutti gli atenei, ma i picchi si registrano a Bologna (+130%), Firenze (+73%), Catania (+46%), Padova (+65%) e Udine (+44%). Numeri promettenti “ma ancora non sufficienti” dice a Repubblica il Prof. Paolo Pavan, Presidente della SIE: “In Europa la percentuale di laureati in materie Stem è del 4,5%, mentre in Italia appena l’1,5%: un disallineamento importante che ci porta così ad accrescere il gap di avanzamento tecnologico con altri Paesi”.
L’Osservatorio sulle competenze digitali 2023 ha stimato una carenza di oltre 175mila professionisti Ict in Italia e il gap è ancora più evidente nel settore dei semiconduttori: tra il 2017 e il 2023 i posti di lavoro disponibili sono aumentati a un ritmo medio annuo dell’11%, mentre il numero di laureati in discipline pertinenti è rimasto stabile. Nel solo triennio 2021-2023, si stima un deficit medio annuo di circa 3.800 posizioni non coperte.
Per colmare questo vuoto, spiega Pavan, “non bisogna solo lavorare a livello di università e orientamento, ma anche con le aziende, che spesso si limitano a dire di aver bisogno di ‘ingegneri’ senza specificare quali ingegneri”. Perché servono ingegneri elettronici? L’ingegneria elettronica è una disciplina fondamentale per lo sviluppo e la produzione di semiconduttori e, quindi, anche per robotica e intelligenza artificiale. Nel discorso pubblico, osserva Pavan, si parla sempre di software ma senza hardware la rivoluzione digitale non sarebbe stata possibile. In particolare, “l’Italia è ricchissima di piccole e medie imprese che realizzano dispositivi o componenti per prodotti ad alta tecnologia. Prendiamo ad esempio il distretto di Sassuolo, specializzato nella ceramica e nelle macchine per la produzione: il contributo in ambito di elettronica è fondamentale. E di casi come questo ce ne sono in tutta Italia. La maggior parte degli studenti che entrano nelle facoltà di ingegneria elettronica lavorerà in questo tessuto produttivo”.
Verso l’autonomia. Oltre che a lavorare nel microcosmo delle Pmi italiane, gli ingegneri elettronici italiani sono chiamati a partecipare alla grande sfida dell’autonomia tecnologica europea, sancita dal Chips Act, che punta a produrre semiconduttori nel Vecchio continente e alleggerire così la dipendenza da Cina, Usa e Taiwan. Al centro della strategia ci sono le Pilot line, impianti pilota per accelerare l’innovazione e la produzione di semiconduttori avanzati. Uno di questi sarà a Catania, dove si è concentrato un investimento da 190 milioni di euro in un’area in cui già operano importanti aziende del settore.
Un ruolo importante lo svolge anche la fondazione Chips-IT, che promuove attività di ricerca sui semiconduttori, collaborando anche con laboratori e gruppi di eccellenza nazionali e internazionali, per “rafforzare il sistema della formazione professionale nel campo della microelettronica”, si legge sul sito della fondazione. Gli ingegneri elettronici serviranno anche qui.
Articolo di Federico Formica per la Repubblica